I colori dell’amore: sfilata di riflessioni e sentimenti

Oggi sono io, l’alieno.

Tra il grigio del cielo in tempesta e della cenere ancora calda dei miei attuali sentimenti, stamattina la pioggia mi è venuta in soccorso, come sempre, dissolvendo lacrime e mascara e guidando il mio diluvio universale di pensieri.

Chi mi conosce sa quanto io ami la pioggia: spesso la gente pensa che sia una mia stranezza (una delle tante); <<la pioggia è triste e deprimente>> dicono, una di quelle cose che rinchiude e mortifica; per me invece libera, il cielo scende in terra, vi si fonde e dà la vita, perché avete mai riflettuto sul fatto che se non ci fosse la pioggia, l’acqua, tutto smetterebbe di esistere e la terra sarebbe solo un grosso cimitero deserto?

In queste ore senza luce, in cui “la gioia di sentirsi tristi” , come direbbe Hugo, tira fuori i contenuti latenti del mio io-artista, ho pensato di prendere il mio pezzo d’arcobaleno in formato A6 e colorare con carta e riflessione questa giornata.

Un blocco colorato, un pennarello indelebile e una domanda: “Quale sentimento consegue l’amore?”

Sono cresciuta a pane e Lacan, tentando di capire aliena-mente la mia mente aliena e cercando di sopravvivere in mezzo alle “creature del fango” definizione perfetta di uomo a mio parere (la parola uomo deriva dalla radice sanscrita bhu- che successivamente divenne hu- da cui anchehumus = terra. Uomo significa quindi “creatura generata dalla terra”. Vi ricorda qualcosa il racconto biblico della creazione dell’uomo in cui si narra che Dio plasma l’uomo dal fango e poi vi alita il suo soffio vitale?).

Osservazione-ipotesi-esperimento-conclusioni: leggendo il suo Seminario VIII, ho pensato di applicarne e rivalutarne gli insegnamenti.
Tante le emozioni descritte e rivelate dai coraggiosi sconosciuti che, lungo la strada, hanno messo nero su bianco (in questo caso rosa-azzurro-giallo-arancione-bianco-verde…e rosso) le loro percezioni e le loro esperienze di vita.
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I colori non sono casuali: in arancione quelli che non ritengo “comprensibili”, giallo che non condivido, in rosa quelli che considero banalizzanti, in verde i pensieri distopici, quelli in azzurro sono in antitesi con la mia prospettiva mentre quelli bianchi in sintonia…e poi il rosso, l’unico e centrale in questo mosaico di sentimenti: il DESIDERIO.
Nessuno lo ha scritto, tranne me e da qui taglia il traguardo il mio pensiero risolutivo.
Ripartiamo dalla genesi della mia indagine.
Che ne è dell’amore nel nostro tempo? Che ne è dell’amore eterno oggi?
Se si usa l’espressione “amore eterno” si rischia di essere vilipesi, derisi; si sputa sull’idea che l’amore possa toccare la dimensione dell’infinito, anche perché ciò appare una contraddizione: come può essere l’amore infinito se la nostra vita è destinata alla morte? Come si ricompone questa contrapposizione?
Il nostro tempo schernisce l’amore, visto come inganno dissolubile e mortificante, che non si può sottrarre al trauma della fine e che è solo frutto di un desiderio (falso) momentaneo.
Il nostro tempo sostiene che esiste un rapporto inversamente proporzionale tra l’intensità del desiderio amoroso e la sua durata: più un legame dura più il desiderio si affievolisce – racconta Massimo Recalcati – e i neuroscienziati parlano di arco di tempo in cui la dopamina prodotta dal primo incontro svanisce; si sente quindi l’esigenza di doparsi nuovamente: altro incontro, altra persona, altro oggetto…altro, in maniera ciclica e rigenerante.
Ecco che l’amore diventa un cibo a scadenza, da “consumarsi preferibilmente entro” qualche mese (dai 3 ai 18 dicono gli studiosi).
La religione del nostro tempo – come direbbe Pasolini – si fonda su due menzogne: la prima è quella della libertà nella misura in cui la massima aspirazione dell’uomo sarebbe la propria autoaffermazione e indipendenza, ciò che conta è ‘l’Uno’ e il suo godimento.
Da qui deriva la visione tossicomanica del “mi sono fatto da me” cioè da solo, senza legame con l’altro.
Ma la vita, senza il grido dell’Altro (come il suono emesso alla nascita) è vita che si perde nella notte – come sostiene Lacan.
L’altra menzogna, complementare alla precedente, è l’idea del nuovo: la felicità risiede in ciò che è lontano, che non abbiamo, che ci manca, che non possediamo.
In questa società capitalista, l’amore diviene un oggetto funzionale al proprio momentaneo soddisfacimento; nel momento in cui esaurisce la sua utilità, il suo sapore di nuovo/dopamina, si cerca il sostituto.
L’errore del nostro tempo è questo: pensare che quando ci si accorge di un “guasto” nella macchina, non si ripara ma si rottama e sostituisce.
Ne risulta “l’obbligo del tradimento”, un vacuo perdersi nel canto delle sirene, nel buco nero dell’insoddisfazione e della morte del sentire.
Ma l’amore, quando esiste e coesiste realmente, è il miracolo del trasformare sempre il vecchio in nuovo; non il nuovo che scade nello stesso, che diventa noioso, ma una rivelazione costante di novità. Per questo ogni giorno dovrebbe essere un nuovo incontro con chi ci sta accanto e non la scelta di un abitudine consolidata e stanca.
Con il filtro freudiano, ci si accorge che oggigiorno si sceglie il partner come rappresentazione di ciò che vorremmo essere.
Il “ti amo” ( io amo te) in realtà si traduce in “io amo me stesso in te”. L’amore ha una struttura narcisistica secondo Freud, infatti: è come essere allo specchio: non guardiamo l’amore per l’altro ma quello di noi stessi nell’altro.
Ciò porta in sè una carica di erotismo e violenza: io amo te perché sei ciò che vorrei essere, ma nella misura in cui non lo sono, io ti odio.
Ma ciò non è un odi et amo di catulliane esperienze; è il pensiero distorto dell’amore di un io ideale, non reale.
Una delle frasi più belle di Lacan è “ quando amiamo, amiamo tutto dell’Altro” : non solo l’immagine, ciò che ci colpisce, l’apparenza,  ma tutto, anche manie, bizzarrie, elementi più particolari, le stranezze più strane dell’altro.
Egli ci spiega come l’amore reale, quello antinarcisistico, è “amore del nome”, per quel nome, sette lettere o quattordorci sul documento di identità indelebile dell’amore.
Non “amore dell’amore” ma amore per quell’essere particolare incarnato in quel corpo, per il suo tutto.
Nel momento in cui si ama “l’oggetto” particolare – spiega Recalcati – questo si sgancia da tutti gli altri e diventa insostituibile, vi resiste: in questo senso ogni amore aspira all’eterno, alla ripetizione dell’incontro irripetibile.
Il suo volto, instancabile apparizione di un sentimento rinnovato e rinnovatore; ed ecco che la contingenza si lega così alla necessità, così come il caso al destino.
Questo volto, questa geografia, che conosco bene, ogni volta che la incontro è nuova.
Questa potenza trasformativa è il nome dell’amore.
E’ ciò che capita a Milano: ogni anno a marzo riappare l’azzurro, un cielo limpido, e con esso anche la catena delle Alpi;  è sempre lo stesso cielo e lo stesso azzurro, ma ogni anno è una sorpresa, una scoperta della riscoperta e lo stesso si rivela miracolosamente nuovo.
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Nel seminario XX, Lacan, alla domanda “qual è la parola che descrive per te l’amore?”, risponde “encore” che in francese significa “ancora” ma il cui suono riproduce anche un’altra parola, cioè “un corps”, in italiano “un corpo”.
Per gli amanti è sempre “ancora”, un DESIDERIO infinito dell’altro, fisico e metafisico.
E’ per questo che Hegel per descrivere l’amore cita un passaggio shakesperiano di Romeo e Giulietta in cui uno dice all’altro <<Più io ti do, più io ho>>.
Ecco che nasce un nuovo mondo, il mondo del due e non più dell’uno autoaffermato e apparentemente libero (ciò di cui parlo nel capitolo intitolato “La libertà apparente”).
Vedere il mondo dalla prospettiva del Due significa avere qualcuno con cui “condividere la bellezza del mondo” – come dice il protagonista di Into the Wild.
La psicoanalisi analizza l’abbandono alla luce di questa consapevolezza epistemologica.
Abbandono e tradimento diventano una morte: si arriva all’insonnia, perdita del sonno, perché dormire significa fidarsi, e la mancanza di fiducia nell’altro la genera. Per dormire bisogna fidarsi e non avere paura della notte e il “traumatizzato d’amore” non vi riesce, scoprendo che la più vera vulnerabilità dell’essere umano non è vivere nell’uno (come i pazienti nevrotici, sostiene Recalcati) ma vivere nel Due, che fa rinascere il mondo ma lo mette pure a rischio: l’amore è l’esperienza di questa esposizione assoluta del rischio della perdita, senza calcoli e “altro”.
L’amore assoluto, dunque, esige l’esposizione assoluta: il desiderio diviene più forte della paura e si tirano i dadi alla roulette della vita, con il rischio di perdere in qualsiasi momento.
Non si vive quindi  l’amore da “Mastro Don Gesualdo” (la vita tutta nella sua “roba”) nè da “l’Avaro” come fanno i nevrotici ossessivi (analisi psicoanalitica lacaniana), ma si rischia la perdita.
E se avviene, si può perdonare?
Derrida diceva che c’è esperienza autentica del perdono solo di fronte all’imperdonabile; il perdono è la possibilità di perdonare quello che non si può perdonare.
Nella psicoanalisi questa parola non esiste: viene dalla cultura cristiana, dove occupa un posto centrale.
Se si esamina il tradito alla luce del personaggio biblico del figliol prodigo , si vede che non c’è pentimento nell’errante, ma calcolo dell’insufficienza a sopravvivere senza qualcosa.
Ma il perdono è amore, sentire e rischiare: non è un’amnesia o un’amnistia, ma questa forza che trasforma la vita morta in vita viva.
Questa è l’unica vera esperienza di resurrezione che ci appartiene: far rinasce un sentimento, ripartire.
Quando noi perdoniamo facciamo infatti esperienza della vita che risorge dalla morte.
Ecco il miracolo della vita, ecco il miracolo dell’amore.
Il mio esperimento finisce così: tanti colori e parole, ma una sola conclusione:
<<ESPRIMETE UN DESIDERIO>> e saprete amare…
                                                                       …l’alieno.
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                                                          Arco della Pace: fine esperimento.

 

 

 

3 pensieri su “I colori dell’amore: sfilata di riflessioni e sentimenti

  1. Kondo ha detto:

    Siamo macchine biologiche, capaci di muoverci e pensare grazie a processi chimico-fisici. Persino la più soave delle emozioni rimane il frutto di reazioni ormonali.
    Però, sebbene sia tutto il frutto della cieca e irrazionale evoluzione, con la nostra mente alcuni di noi hanno avuto e hanno tutt’ora la capacità di elevare dei meri stimoli irrazionali a ideali di magnifica bellezza.

    L’amore da millenni è considerato lo stimolo più importante. Ha svariate forme, ma tende a ricompensare sempre allo stesso modo.
    Eppure non si tratta di uno stimolo strettamente legato alla nostra sopravvivenza, come la fame o la sete. Allora come mai è sempre stato osannato dai grandi pensatori?
    Il suo non essere essenziale lo rende fondamentale.
    L’amore dona un senso, un significato alla nostre nostre vite, che senza si ridurrebbero a mera sopravvivenza.
    Che questo sia amore per la conoscenza, amore per l’arte, amore per qualcuno o amore per qualcosa, l’amore rappresenta una delle peculiarità che ci distingue da dei semplici automi.

    Essendo quindi l’amore un sentimento, uno stimolo derivante dall’azione degli ormoni nel nostro organismo, può questo essere realmente eterno?
    Certo che sì.
    Il problema del “nostro tempo” e il problema che si può riscontrare in ambito scientifico è la mancanza di informazioni, nonché la confusione che v’è attorno.
    L’amore con la data di scadenza non è altro che mera limerenza, spesso viene confuso con l’amore più impegnativo, ovvero il “committed long term love”, in italiano da intendersi come “amore eterno”. In uno l’azione della dopamina è preponderante, nell’altro agiscono ben altri ormoni, come l’ossitocina.
    Per questo l’amore nel “nostro tempo” non è detto che sia tanto peggiore dell’amor che fu nei tempi d’altri. Forse ci ritroviamo ad esser sfortunati e a sentir solo le testimonianze di chi l’amore eterno non l’ha mai assaporato.
    Il che non pare inverosimile giacché l’amore è un sublime intruglio di complessità, e la nostra era spesso non ci fornisce possibilità di costruirla. Inoltre i pochi che hanno le capacità e le possibilità di farlo vengono oscurati del tutto dalla massa che è in perenne ricerca del proprio palcoscenico.

    Oltretutto l’amore è personale, unico per ogni realtà. Sia a livello fisico e a maggior ragione a livello psichico. L’amore eterno appartiene al singolo, non alla coppia, almeno non in senso stretto. Giacché l’amore non richiede necessariamente altro amore per vivere o sopravvivere. L’amore di coppia quindi necessita che i due amanti e i loro amori siano compatibili, forse simili.

    Probabile sia proprio la natura dell’amore individuale a permettere il perdono, o meglio il “non perdono”. D’altronde ciò che non si può perdonare è anche ciò che non necessita alcun perdono.

    Alle volte si esce col pensiero dalle trame di questo sentimento, e ci dimentichiamo quanto alla base questo sia irrazionale, ma profondamente cerebrale.

    Sebbene simili, ogni chiaro di luna, ogni alba e ogni tramonto saranno diversi, eppure non c’è necessità alcuna di perdonare la loro scomparsa dai nostri cuori.

    L’amore non è altro che un momento e sta a noi ricucirne le fila perché questo possa durare in eterno.

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